Mi capita fra le mani, anni fa, un libro messo in un angolo di una libreria, scontato, senza particolare appeal. Ne compro due copie pensando di regalarne una a mio zio Fabio Piergiovanni che, da formatore, ama questi temi: "La rana che finì cotta senza accorgersene. E altre lezioni di vita" di Oliver Clerc.
Il principio della rana bollita lo conoscevo già, come metafora, dal filosofo statunitense Noam Chomsky, nel suo libro "Media e potere" per descrivere una pessima qualità dell'essere umano moderno: la rana bollita ci dimostra che, quando un deterioramento agisce in maniera sufficientemente lenta, risulta difficilmente percettibile, sfugge alla coscienza e non permette la spinta alla reazione, in opposizione.
La rana quando si accorge di essere cotta è già impossibilitata ad uscire dalla pentola, non ne ha più la forza, in questo caso la sua capacità adattiva non le è stata di grande aiuto: meglio sarebbe stato un tuffo bollente che le avrebbe permesso di reagire.
Questa metafora può riferirsi ad ogni ambito della nostra vita: dalla società, alle relazioni umane, all'ambiente, alla salute, alla politica, il degrado è sotto agli occhi di tutti. Ma "quando una situazione è il prodotto di un'evoluzione che si sviluppa sul lungo periodo," dice Clerc, "le soluzioni rapide e a breve termine che mettiamo in pratica sono generalmente inadatte, quando non concorrono, alla fine, ad aggravare la situazione".
Ma in soldoni cos'è che non permette alla rana di saltare?
- La rana dorme, non è "sveglia", non si accorge di quello che sta vivendo e non pensa alle conseguenze, non è presente a sé stessa. E' incosciente.
- La rana non ricorda, non riesce a comparare o discernere, non si accorge del cambiamento. Non ha memoria.
- La rana non usa altro termine di paragone se non la propria pelle, non ha riferimenti collettivi o esterni con cui relazionarsi, è oltre modo fiduciosa delle proprie soggettive valutazioni. E' egoriferita.
Alla rana non resta che lasciarsi cuocere, lasciarsi morire, e nell'attendere la sorte (per lei non ancora immaginata) la rana è passiva, subisce nell'intrattenersi, aspetta di vivere quegli ultimi tempi.
C'è un'altra attesa che dobbiamo sperimentare per i tempi presenti, un'attesa che non è rassegnazione. E ce la racconta la storia del Bambù: si dice che in Cina ne esita una varietà molto particolare. Se si pianta il seme di questo bambù occorrerà aspettare ben cinque anni per iniziare a vedere un piccolo germoglio. Un'attesa estenuante, che farebbe perdere le speranze a chiunque. Eppure dal quinto anno in poi, quando il bambù ha ben bene radicato, è pronto a crescere 15 metri all'anno! Cosa ci insegna la storia del bambù cinese?
Innanzitutto che "l'essenziale" come scriveva Saint-Exupéry "è invisibile agli occhi".
I cambiamenti che riguardano la nostra psiche, il cuore, i sentimenti, le emozioni, i ricordi e quelli che vanno a toccare la nostra dimensione più profonda maturano nel segreto. In un'epoca come quella attuale che ha il culto dell'immediatezza a tutti i costi (tutto e subito) la metafora ci insegna la perseveranza, il lavoro a lungo termine e il rifiuto della rassegnazione.
Preparazione silenziosa nel segreto: un segreto che non è vergogna, un segreto che non è criminale, ma il Segreto della creazione. Le idee e i progetti sono come dei semi che vanno nascosti nella terra perché non vengano divorati: si preparano nell'oscurità.
Finalmente così il tempo può essere visto come alleato nella consapevolezza, invece che come nemico inconscio col quale non sappiamo fare i conti.
Libro preso come spunto:
"La rana che finì cotta senza accorgersene. E altre lezioni di vita"
di Oliver Clerc.
Canzone di accompagnamento:
Ceux qui ne pensent pas comme nous sont des cons
di Giorgio Brassens